top of page
  • White Facebook Icon
  • White Instagram Icon
Mosaico-De-Spuches-corretto-scaled.jpg

Mosaico Romano Galati De Spuches

AUDIO GUIDA (scegli la tua lingua)

00:00 / 12:52
00:00 / 13:56
00:00 / 08:03
00:00 / 11:47
00:00 / 08:50

Benvenuti a Carini, un luogo dove la storia sussurra da ogni pietra e il passato riemerge in un tripudio di colori. Oggi vi accompagnerò in un viaggio straordinario, un percorso che ci condurrà nel cuore di un tesoro ritrovato: il magnifico mosaico pavimentale Galàti de Spuches. Ma il nostro non sarà solo un viaggio nell'arte, sarà un'immersione profonda nella storia di questa terra, l'antica Hìkkara, una città le cui radici affondano in un passato lontano e affascinante.

 

Ci troviamo oggi di fronte a un capolavoro che, dopo un lungo esilio, è finalmente tornato a casa. Un'opera che, come una fenice, è risorta dalle ceneri del tempo per raccontarci storie di ville sontuose, di vita quotidiana nell'Impero Romano e delle complesse vicende che hanno plasmato la Sicilia. Prima di lasciarci incantare dai suoi dettagli, facciamo un passo indietro, per comprendere il contesto in cui questo gioiello è stato creato.

 

Carini, che oggi ammiriamo, sorge sulle vestigia della sicana Hìkkara. Menzionata dallo storico Tucidide, fu un centro fiorente, la cui storia si intrecciò con quella delle grandi potenze del Mediterraneo. Conquistata dagli Ateniesi nel quattrocentoquindici avanti Cristo durante la loro sfortunata spedizione in Sicilia, i suoi abitanti furono venduti come schiavi, un evento che segnò profondamente il suo destino. Eppure, la vita continuò. Sotto il dominio romano, l'area conobbe una nuova prosperità. La piana fertile, la vicinanza al mare e la sua posizione strategica lungo la via Valeria, un'arteria vitale che collegava le principali città della costa, la resero un luogo ideale per l'insediamento. Fu in questo periodo, in particolare tra il IV e il V secolo dopo Cristo, che sorsero ville lussuose, residenze di aristocratici che qui trovavano un luogo di otium e di gestione dei loro vasti latifondi. È in una di queste dimore che il nostro mosaico vide la luce.

 

La Scoperta: un Principe e un Tesoro Nascosto

La storia della riscoperta del nostro mosaico è avvincente quanto la sua stessa esistenza. Dobbiamo la sua salvezza a un uomo illuminato, un nobile palermitano con la passione per l'archeologia: Giuseppe De Spuches, Principe di Galàti. Fu sul finire del 1873, in contrada San Nicola, nel podere di una certa signora Ferranti, che durante dei semplici lavori agricoli, i picconi dei giardinieri urtarono qualcosa di duro, qualcosa di inaspettato. A soli tre palmi di profondità, circa 75 centimetri, emerse un tripudio di colori e forme: un vasto pavimento a mosaico.

 

Il Principe De Spuches, venuto a conoscenza della scoperta, comprese immediatamente l'inestimabile valore di quel ritrovamento. Senza il suo intervento, questo capolavoro sarebbe andato irrimediabilmente perduto, distrutto dall'incuria o, peggio, smembrato per adornare qualche "campestre abituro". Con un atto di mecenatismo che oggi definiremmo eroico, acquistò il mosaico, lo fece staccare con perizia e lo trasportò nel suo palazzo a Palermo, Palazzo Galàti, dove lo fece rimontare in una delle sale principali. Lì, il mosaico è rimasto per oltre un secolo, ammirato da studiosi e visitatori, un pezzo di Carini nel cuore di Palermo.

 

Ma la storia non finisce qui. Dopo alterne vicende, e grazie all'impegno congiunto di istituzioni e cittadini, il mosaico è finalmente tornato a Carini, nel luogo che gli appartiene. Quello che ammiriamo oggi è il frutto di un lungo viaggio, un ritorno a casa che simboleggia la riappropriazione di un'identità storica e culturale. E ora, siamo pronti a scoprirlo insieme, tessera dopo tessera.

 

Il Mosaico Galàti de Spuches: un Capolavoro di Geometria e Simbolismo

 

Ed eccoci qui, di fronte a questo straordinario pavimento musivo. Immaginate la scena: una grande sala, probabilmente una sala di rappresentanza di una sontuosa villa romana del IV secolo dopo Cristo, illuminata dalla luce del sole che filtrava dalle finestre, e al centro, questo tappeto di pietra, un vero e proprio quadro tessellato che catturava lo sguardo e l'immaginazione.

 

Il mosaico, nella sua configurazione originale, era di dimensioni considerevoli, circa 12,96 metri per 10,96 metri, e si presentava diviso in tre parti principali: una sala centrale di forma rettangolare che culminava in un'abside profonda, e due strisce laterali che ne delimitavano i bordi. Oggi, purtroppo, solo il pannello della sala centrale si è conservato integralmente, ma grazie alle descrizioni storiche e ai disegni dell'epoca, possiamo ricostruire la sua magnificenza completa.

 

Il Pannello Centrale: un Gioco di Stelle e Creature Alate

Concentriamo ora la nostra attenzione sul grande pannello centrale, un vero e proprio cuore pulsante di questo capolavoro. La sua base compositiva è una rigida partitura geometrica, delimitata da un motivo a nastro ondulato su fondo scuro, tra due liste bianche e due nere. All'interno, il campo è sapientemente suddiviso in nove riquadri ottagonali. Questi sono formati dall'intersezione di due quadrati che, ruotando, creano nove stelle a otto punte, e negli spazi di risulta si inseriscono coppie di losanghe disposte obliquamente. È un gioco di incastri che crea un effetto di tridimensionalità, quasi un soffitto a cassettoni rovesciato sul pavimento.

 

Al centro di ogni stella, e in particolare nella stella centrale, spicca un fiore stilizzato a otto petali, racchiuso in una ghirlanda iridata policroma, realizzata con tessere di pasta vitrea che donano una brillantezza unica. Ai quattro angoli del tappeto centrale, invece, troviamo ghirlande di alloro decorate da nastri, che circoscrivono rosette a otto petali, formate da foglie fusiformi e tricuspidate. Questi motivi floreali e vegetali, tipici della tradizione ellenistica, richiamano la fecondità e la bellezza della natura.

 

Ma non è solo la geometria a incantare. Nei quadrati di risulta, tra le stelle, si trovano coppie di uccelli, raffigurati in modo speculare, affrontati ai lati di un kantharos aureo, un vaso-fonte da cui traboccano girali d'acanto e rami fioriti. Questi uccelli, descritti come anatre paonazze, colombe cerulee, pappagalli e upupe, sono resi con una tale naturalezza che sembra di poterli toccare. Il kantharos, simbolo di abbondanza e rinascita, e gli uccelli, spesso associati alla pace e alla vita eterna nella simbologia cristiana, aggiungono un profondo significato a questa composizione, suggerendo un messaggio di prosperità e speranza.

 

Le Fasce Laterali: Simboli di Fede e Continuità

Spostando lo sguardo verso i lati del pannello centrale, notiamo due strisce laterali che, nel disegno originale, completavano la composizione. La striscia di sinistra era caratterizzata da riquadri campiti da croci greche, simbolo di passione, morte e risurrezione, un chiaro richiamo alla simbologia cristiana. Questi riquadri, separati da rettangoli e quadrati inclusi, formavano croci sagomate, un motivo che si ritrova anche in altri contesti musivi dell'epoca.

 

La striscia di destra, invece, era decorata con due file di ottagoni intersecanti e adiacenti, formati da esagoni allungati. Al centro di questi, si alternavano fiori a quattro petali e il cosiddetto Nodo di Salomone, un segno formato da due anelli incatenati, simbolo di unione, eternità e ciclicità. Questo motivo, di matrice africana, testimonia la vasta circolazione di modelli e maestranze nell'Impero Romano, e lo ritroviamo anche in altri mosaici siciliani, come quelli della Villa Romana del Casale a Piazza Armerina.

 

La Parte Absidale: un Frammento di Storia

Infine, la parte absidale, di cui oggi si conserva solo un frammento custodito presso il Museo Archeologico Regionale "Salinas" di Palermo, mostra una semplice maglia policroma con un fiore su stelo distribuito su un reticolato di squame. Questa sezione, che un tempo divideva l'ambiente principale dall'alcova, era arricchita da una balza musiva con pavoni affrontati, disposti simmetricamente ai lati di un kantharos. I pavoni, con il loro piumaggio brillante, erano considerati nell'antichità emblema di immortalità e rinascita spirituale, un simbolo potente che arricchiva ulteriormente il messaggio di questo straordinario pavimento.

 

L'intera opera, con la sua ricchezza di dettagli, la sapiente combinazione di tessere in pietra locale e paste vitree policrome, e la sua complessa tessitura, rivela non solo l'abilità dell'artista ma anche l'agiatezza del committente. È un esempio magnifico di come l'arte musiva, pur partendo da moduli iconografici diffusi in tutto il Mediterraneo, sapesse adattarsi e arricchirsi di significati locali e personali.

 

Contesto e Interpretazione: Un Dialogo con l'Antichità

 

Il mosaico Galàti de Spuches non è un pezzo isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio di produzione musiva tardoantica in Sicilia, e in particolare, presenta notevoli affinità con i celebri mosaici della Villa Romana del Casale di Piazza Armerina. Queste somiglianze non sono casuali, ma suggeriscono una circolazione di modelli, di repertori iconografici e forse anche di maestranze specializzate, probabilmente provenienti dal Nord Africa, dove l'arte musiva conobbe un periodo di grande fioritura.

 

Inizialmente, l'interpretazione del mosaico di Carini lo identificava come il pavimento di una basilica paleocristiana, un'ipotesi sostenuta dal Principe De Spuches e da altri studiosi dell'epoca. Tuttavia, studi più recenti, in particolare quelli condotti dall'archeologa Rosalia Camerata Scovazzo, hanno messo in discussione questa attribuzione. Confrontando il mosaico di Carini con le strutture e i motivi decorativi della Villa del Casale, si è propensi a interpretarlo come il pavimento di un vano absidato, probabilmente una sala di rappresentanza, all'interno di una ricca domus o villa del IV secolo dopo Cristo Questa interpretazione è supportata dalla mancanza di elementi architettonici tipici degli edifici di culto e dalla conformazione metrica, che si discosta da quella delle basiliche paleocristiane siciliane e mediterranee.

 

La scelta di motivi geometrici, l'uso sapiente del colore e la rappresentazione di elementi naturali e animali, come gli uccelli e il kantharos, riflettono un linguaggio simbolico complesso. Se da un lato questi elementi possono essere letti in chiave pagana, richiamando la fecondità e l'abbondanza, dall'altro, in un'epoca di crescente cristianizzazione, potevano assumere significati cristologici. I pavoni, ad esempio, con la loro capacità di rinnovare il piumaggio, divennero simbolo di immortalità e resurrezione. Il kantharos, da coppa dionisiaca, si trasformò in immagine della Fonte della Vita, richiamando i versetti evangelici. Questa ambivalenza simbolica era tipica dell'arte tardoantica, capace di veicolare messaggi diversi a seconda dell'interpretazione dell'osservatore.

 

La presenza di croci greche e del Nodo di Salomone nelle fasce laterali, sebbene non esclusive del repertorio cristiano, rafforza l'idea di un ambiente in cui la nuova fede stava guadagnando terreno, o almeno in cui i simboli potevano essere interpretati in chiave cristiana. Il mosaico di Carini, quindi, ci offre uno spaccato affascinante di un'epoca di transizione, in cui le tradizioni classiche si fondevano con le nuove espressioni culturali e religiose.

 

Il Ritorno a Casa: Un Ponte tra Passato e Presente

 

 

Il viaggio attraverso la storia e l'arte del mosaico Galàti de Spuches giunge al termine. Quello che abbiamo ammirato non è solo un insieme di tessere colorate, ma un frammento vivo di un passato glorioso, un testimone silenzioso delle vicende di Hìkkara e della sua evoluzione. Il suo ritorno a Carini, dopo tanti anni, non è solo un evento archeologico, ma un simbolo potente di riscoperta e valorizzazione del patrimonio culturale.

 

Questo mosaico ci parla di un'epoca in cui l'arte era espressione di ricchezza e di fede, di un mondo in cui le influenze culturali si intrecciavano, creando opere di straordinaria bellezza e complessità. Ci ricorda l'importanza di preservare la nostra storia, di studiarla e di renderla accessibile a tutti, affinché le voci del passato possano continuare a risuonare e a ispirare le generazioni future.

 

Vi ringrazio per avermi accompagnato in questo affascinante percorso. Spero che la bellezza e la storia del mosaico Galàti de Spuches rimangano impresse nei vostri ricordi, come un prezioso tassello della grande narrazione della Sicilia antica.

bottom of page